Perché serve che ritorni la Politica

I lettori di questo blog forse si saranno chiesti quando io e il mio amico Vincenzo avremmo smesso di discutere su Mac/Apple, MS/Windows e GNU/Linux.

A molti sarà sembrato la solita manfrina da addetti ai lavori, fra tifosi di una squadra o dell’altra, dato che ormai siamo dipendenti soltanto dalle metafore calcistiche (tutto cominciò da una discesa in campo, ricordo, ed è finita ieri con la panchina – fino a quando non vedo …).

Ora in realtà sono stato molto lieto di ospitare i contributi di Vincenzo perché mi ha confermato quello che osservo quotidianamente su siti di informazione, specializzata e non, e su molte riviste che settimanalmente mi sciroppo. Il dialogo intercorso mi ha confermato innanzi tutto una cosa: noi in Italia abbiamo tantissime persone così entusiaste del proprio mestiere e delle cose da fare che forse nemmeno ce ne rendiamo conto. Un altro amico è una specie di mago del SW e della tecnologia in generale così come un altro è veramente preparatissimo in campo di reti, router, switch e telecomunicazioni. Quest’ultimo noi contribuenti lo abbiamo anche formato fino al dottorato per poi … lasciarlo andare via!

L’Italia è piena di cervelli che sono rimasti e non è affatto vero che sono fuggiti tutti. Certo fuori dai nostri confini non sono così scemi che si lasciano sfuggire i migliori talenti e infatti stiamo perdendo importanti risorse umane.

Cosa fare allora?

Innanzi tutto deve tornare la Politica, quella con la P maiuscola e tornare ad investire seriamente nella scuola e nell’istruzione superiore. Manca al nostro Paese una visione strategica di quello che si vuole in termini di sviluppo e di società.

La prima domanda che ci dovremmo porre è: vogliamo un vero capitalismo o vogliamo continuare con questa specie di assalto alla diligenza, basato fortemente sulla Pubblica Amministrazione e sugli acquisti pubblici?

Perché se vogliamo seriamente diventare un paese capitalista, prima ancora di scegliere il modello a cui ispirarci, se quello anglosassone, molto più liberista, o quello tedesco, con molti correttivi sociali, dobbiamo innanzi tutto comprendere la cultura degli investimenti. Investire in ricerca, sviluppo, nuovi prodotti, nuove tecnologie, nuovi processi significa mettere mano al portafogli sapendo che i ritorni di investimento non saranno immediati. Significa che la Politica economica di questo Paese deve per forza, siamo già in ritardo, agevolare questi investimenti e investire a sua volta nell’unica risorsa che conta davvero nel mondo iperconnesso nel quale viviamo: l’istruzione.

Trovo stucchevoli le polemiche degli ultimi giorni sull’orario di servizio degli insegnanti. E le trovo stucchevoli da ambo le parti perché se da un lato è vero che aumentare l’orario frontale a 24 ore significa meno precari da poter sistemare, dall’altro non mi sembra uno sforzo eccessivo per gli insegnanti. Mi dispiace per gli amici professori ma trovo un tantino ridicolo pensare che sei ore la settimana in più, cioè un’ora al giorno, possano inficiare la qualità dell’insegnamento erogato agli studenti.

Trovo d’altra parte assurdo che si ragioni in termini di produttività in campo educativo. Il problema scolastico andrebbe affrontato nel suo complesso, cominciando a rendere parte del percorso obbligatorio persino il periodo di Scuola dell’Infanzia, quella che una volta si chiamava materna o asilo, perché già a tre anni i bambini sentono il fuoco dentro della curiosità.

E non è possibile, e mi auguro che un ministro competente e preparato come il Prof. Profumo se ne renda conto, che si continui a ragionare con le categorie della contabilità pubblica in campo scolastico.

Le scuole e le università hanno bisogno di investimenti seri a partire da un rinnovamento della classi insegnanti che devono stare in questo secolo. Qui non si tratta di mettere più tablet in classe o gli hotspot wifi. Qui si tratta di comprendere che soltanto attraverso una seria politica educativa si raggiunge la formazione delle nuove classi dirigenti: tecnici, manager, finanziatori.

E credo che nelle scuole superiori e nelle università si deve comprendere che non si può pensare di escludere il percorso formativo dalle future scelte lavorative, nel senso che anche un po’ di cultura aziendale deve entrare nei moderni programmi di apprendimento.

Mi sembra sia diventato indifferibile un cambiamento radicale persino della gestione delle scuole le quali, nella loro autonomia, sono spesso dirette da Dirigenti Scolastici che non possono – per loro formazione – essere anche dei bravi manager, semplicemente perché non è il loro mestiere. Non basta un corso formativo dopo 20 anni di insegnamento per fare bene il Preside in un moderno istituto superiore, sia esso un liceo o un istituto tecnico o come diavolo si chiamano ora dopo le duecento riforme che si sono susseguite negli ultimi venti anni.

Se il Dirigente Scolastico è chiamato a gestire risorse, analizzare bilanci, fare acquisti ed investimenti allora forse è chiamato non solo all’organizzazione della didattica (argomento che dovrebbe padroneggiare) ma anche alla gestione operativa di una scuola. E per far sì che la scuola mantenga la sua necessaria indipendenza nei confronti di aziende che magari possano essere interessate a sinergie ed investimenti, serve che i Dirigenti siano dei manager trasperenti riguardo ai conflitti di interesse e che abbiano la preparazione tale per poter discriminare i finanziamenti ed opporsi se troppo invasivi dell’indipendenza.

Serve che i partiti facciano un passo indietro e la smettano per puro tornaconto elettorale (in Italia c’è un’elezione l’anno) di giocare sulla pelle delle future generazioni. È necessario tornare alla Politica e a seri investimenti in ricerca e sviluppo perché se non si cresce più e il livello della ricchezza del Paese, prodotto dalle nuove generazioni diminuisce, i primi a pagarne le conseguenze saremo proprio noi, della generazione dei 40enni che dovremo lavorare fino alla morte poiché non ci saranno più soldi per erogare le pensioni.

Non basta produrre supertecnici e superspecializzati: di quelli ce ne sono moltissimi e purtroppo nemmeno fanno il loro mestiere a causa della crisi e del modello produttivo che abbiamo scelto.

Serve piuttosto che i visionari, gli strateghi e gli inventori possano tornare ad avere la speranza che le loro visioni, le loro strategie e le loro invenzioni possano essere realizzate qui, nel loro Paese.

 

p.s. suggerisco la lettura del libro di Federico Rampini: “Non possiamo più permetterci uno Stato Sociale: Falso!