Un velo di tristezza

Ascoltare le intercettazioni telefoniche dell’inchiesta Rubygate pubblicate su Repubblica.it e su altre testate online fa calare un velo di tristezza sulle giornate che commemorano la Liberazione.

Anche se alcune trascrizioni erano già note, sentire direttamente le parole, il tono, l’enfasi dei protagonisti di questo scandalo ci riporta alla mente l’Anniversario della Liberazione di tre anni fa, il 25 aprile 2009, quando Silvio Berlusconi tenne ad Onna l’unico suo vero discorso da statista nel corso di una carriera quasi ventennale in politica.

Sulle macerie del terremoto l’allora Premier festeggiò – per la prima volta – la data simbolo della nostra democrazia: ma come in una sorta di disturbo bipolare, nel frattempo stava per deflagrare la bomba della separazione dalla moglie, con la scoperta della frequentazione della Letizia e poi via via la D’Addario e infine il Bunga Bunga.

Pensare che quell’uomo che ha governato questo Paese (o meglio che è stato Capo del Governo, perché governare è altra cosa) sia lo stesso che la scorsa settimana abbia tenuto quel monologo in tribunale sul burlesque e abbia continuato la sua patetica linea difensiva  sulle cene eleganti, sia lo stesso che negava la crisi con i ristoranti pieni e nel frattempo si organizzava festini per rilassarsi fa sì aumentare la rabbia ma pone anche un velo di enorme tristezza per lo stato mentale della nostra società.

Perché una cosa che non dobbiamo dimenticare è che Silvio Berlusconi – da quando scese in campo nel 1993 con l’appoggio a Fini nelle prime elezioni dirette del sindaco capitolino contro Rutelli – ha ottenuto milioni e milioni di voti. La maggioranza degli italiani che andavano a votare gli ha consegnato le chiavi del potere nel 1994, nel 2001 e nel 2008. Nelle elezioni europee del 1994, 1999, 2004 e 2009 ha ottenuto un numero enorme di preferenze (cioè gente che ha scritto il suo cognome sulla scheda elettorale) e soltanto nel 2004, dopo l’editto bulgaro, fu battuto da Lilli Gruber e al sud da Michele Santoro.

La tristezza non è per quattro povere disgraziate attirate dal denaro facile vendendo il proprio corpo o facendo eccitare questi due vecchietti, Silvio e Emilio Fede, ma è per quei milioni e milioni di nostri concittadini che in perfetta buonafede hanno creduto alla favola dell’imprenditore, del ricco che avrebbe fatto del bene alla comunità, a differenza dei professionisti della politica, dei comunisti, della sinistra antitaliana.

Queste intercettazioni restituiscono alla storia che i nostri figli e nipoti studieranno negli anni futuri cosa è stato veramente questo ventennio berlusconiano: un periodo di sonno profondo delle coscienze, addormentate con il valium del guadagno facile, dell’illusione, del racconto di fantasia come rifugio dalla realtà, delle bugie come sistema per sfuggire alle proprie responsabilità.